Cosa si intende per "terzo paesaggio"?

Pubblicato in Racconti dal terzo paesaggio Giovedì, 02 Febbraio, 2012 Stampa Email

"Se si smette di guardare il paesaggio come l'oggetto di un'attività umana subito si scopre una quantità di spazi indecisi, privi di funzione sui quali è difficile posare un nome. Quest'insieme non appartiene né al territorio dell'ombra né a quello della luce. (...) Tra questi frammenti di paesaggio, nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. (...) Questo rende giustificabile raccoglierli sotto un unico termine. Propongo Terzo Paesaggio, terzo termine di un'analisi che ha raggruppato i principali dati osservabili sotto l'ombra da un lato, la luce dall'altro". Gilles Clement, Manifesto del Terzo Paesaggio, 2005 (vers. it).

Se nel giardino si esprime la natura ordinata dall'uomo in contrapposizione al vuoto esterno, alla natura fuori dalle mura, predominante, selvaggia ed ostile, ora è il vuoto, il poco che è rimasto tra mura e mura, ad attirare le nostre cure, laddove è la diffusione delle mura, dei limiti, dei recinti, (la città globale, il mondo organizzato) a spaventare. Il giardino planetario è la risposta allo spostarsi della questione urbana, e sta alla globalizzazione (economica, urbana) come il parco urbano stava alla città del XIX secolo; si allarga lo sguardo; se ad ogni epoca spetta una certa concezione del verde, il giardino planetario è il giardino della città globale. 

L'insieme dei residui che formano il Terzo Paesaggio funge da elemento di connessione e vivificazione tra i vuoti della maglia delle attività antropiche. Si tratta di luoghi residuali, spazi che non conservano mai a lungo una forma, si modificano, debordano, e quanto più assumono i caratteri di un materiale liquido, tanto più resistono ad essere governati. Gli strumenti tradizionali di gestione del patrimonio (sorveglianza, tutela, individuazione dei limiti) non possono essere utilizzati senza annullarne le qualità proprie: ne emerge una visione decisamente antipatrimoniale, non istituzionale ("non bene patrimoniale, ma spazio del futuro"), che si contrappone a molte attuali considerazioni sul paesaggio come spazio dell'identità, patrimonio delle società locali, luogo di esercizio delle strategie della memoria.
Le considerazioni che Gilles Clément fa sui residui e l'invenzione del Terzo Paesaggio in qualche modo richiamano la scoperta del paesaggio montano avvenuta in epoca moderna, il luogo orrido, spazio della natura selvaggia, in contrapposizione al luogo ameno: in questo caso, la scoperta dei luoghi di scarto, privi di funzione, in contrapposizione ai luoghi che hanno un valore d'uso definito.
I residui sono "spazi delle ginestre", usando una metafora leopardiana, terra di frontiera, luogo di ibridazione delle diverse specie, ed è la mescolanza planetaria il motore dell'evoluzione biologica. Clément si pone dalla parte del politeismo vegetale contro la monocoltura del prato all'inglese.
Date le premesse, il Terzo Paesaggio non ha scala, o meglio le ha tutte, dal microscopio alla visione satellitare. Clément scrive della necessità di abituare lo sguardo al riconoscimento del Terzo Paesaggio; e, di conseguenza, a gestirlo. Poiché le forme di controllo spaziale istituzionali tendono a suddividere in comparti ed ambiti, e ad opporsi alla libera trasformazione, la rappresentazione, gestione e progetto del Terzo Paesaggio devono lasciare spazi all'indecisione, introducendo come variabile l'entropia, mantenendo coscienza dei legami generali con l'ecosistema, ragionando per spessori e non per confini, e considerando l'assenza di regolamentazione morale, sociale, politica non necessariamente in maniera negativa. Qualcosa che è già stato sperimentato, in piccolo, nel giardino in movimento, e qui esteso a scala planetaria.

Sin dall’inizio della sua attività Clément presta particolare attenzione alle frange urbane, ai terreni in abbandono, agli incolti e alla vegetazione che li caratterizza e intende mostrarci come la biodiversità presente in quei luoghi possa essere considerata un lusso, una risorsa indispensabile di diversità e di bellezza.
Il Terzo Paesaggio è lo spazio privilegiato che accoglie la diversità biologica e si contrappone all’insieme dei territori antropizzati sottomessi alla gestione e allo sfruttamento dell’uomo. La gestione antropica delle componenti naturali del paesaggio seleziona la diversità e a volte l’esclude del tutto. Nei siti industriali, nelle città, in quasi tutti i luoghi dell’attività umana, dal turismo alle colture agricole e forestali, si riduce a poco o nulla la biodiversità. Anche dove la natura è affidata alle pratiche agricole delle sue componenti rimane ben poco, il numero di specie che ritroviamo in un campo coltivato o nel sottobosco di un impianto forestale è molto basso se confrontato con quello che sopravvive in uno spazio relittuale. Questa vocazione del Terzo Paesaggio al mantenimento della biodiversità ne fa una riserva genetica del pianeta, lo “spazio del futuro”, una necessità biologica che condiziona l’avvenire degli esseri viventi e la loro conservazione diventa un fatto politico, modificando la lettura del territorio e valorizzando dei luoghi che vengono di norma ignorati. In quest’ottica il Terzo Paesaggio deve diventare oggetto d’interesse per i professionisti della gestione del paesaggio, per coloro che lo progettano e che dovranno prevedere nei loro interventi l’inclusione di una parte di spazio non gestito o definire come spazi di pubblica utilità i terreni abbandonati e incolti.

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